venerdì 29 marzo 2013

Conclusioni di Reclusioni di corpi e di menti



Chiunque ami leggere, ha sperimentato la sensazione di abitare una tana arredata con le pagine del libro. La storia ha occupato tempo, pensieri, emozioni, e il corpo è stato piacevolmente rinchiuso non più sulla poltrona o sul divano, ma nei luoghi in cui la storia è stata ambientata e da dove, a malincuore, quando l’ultima frase è stata letta, tocca andarsene. Quando succede, le parole circondano il lettore in una bolla morbida che è una delle cose che si cercano in un libro. Ma le parole oltre che rifugio possono essere recluse, ed è esattamente ciò che è successo alle mie prima di decidere che proprio sulla reclusione avrei scritto. Forse per ricordare a me stessa che infinite sono le possibilità di segregazione? In effetti questo libro ne tratta alcune, ma naturalmente ne esistono molte altre. L’obiettivo che mi ero posta non era quello di indagarle tutte, ma di riflettere attraverso l’analisi di certe “reclusioni” su quanto sia alto il rischio per ciascuno di noi di vivere chiudendoci dietro sbarre simboliche o interiorizzando imperativi categorici di impossibile bellezza o eterna giovinezza, oppure schiacciate dal silenzio o, ancora, imprigionate dalla fame.
Chiunque abbia attraversato un lutto, conosce bene quanto stretti siano i lacci che la morte avvolge intorno a chi è rimasto, così come coloro i quali soffrono di depressione, sanno bene quanto quel malessere spenga ogni scintilla di vitalità. Chiunque viva in un contesto limitato è consapevole di quanto i pensieri più audaci siano considerati pericolosi e dunque relegati in un angolo, preferibilmente sepolti sotto cumuli di rassicuranti luoghi comuni. Un’infinità di gabbie dunque e reclusioni e luoghi connotati da un senso di costrizione, dai quali, per poter uscire, è necessaria forza e consapevolezza.
Aprendo un vocabolario e cercando la parola resilienza leggiamo che è data dalla capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi, o che sta a indicare la capacità di affrontare e superare le avversità. Esistono altre definizioni che è importante apprendere, perché se esiste un’illusione che è necessario perdere è che la vita possa essere priva di impedimenti, dolori, cadute, ferite, spazi angusti che non abbiamo scelto e nei quali ci parrà di soffocare. Li incontreremo invece e proprio per questo è utile impastarci il corpo e la mente di quel materiale resiliente, perché è una risorsa potente: è la costanza del giorno per giorno, ancora un passo, uno sforzo e raggiungo quel luogo. E’ la tenacia che, imbracandoci a qualcosa: a un’idea, un sogno, un amore, un progetto, ci fa dire “persevero”, e rompo questa barriera, spezzo quella rete che stringe, attraverso quel varco stretto piegando quella sbarra che chiude. Talvolta invece la resilienza è la forza necessaria a stare fermi, perché attraverso l’immobilità ci è possibile approdare in luoghi lontani. Stando fermi si riflette, si valuta, si radunano le forze che saranno poi necessarie a fuggire da una situazione di violenza; a sorridere di chi dice che bisogna coltivare una giovinezza perpetua, a contestare chi declama le regole della madre perfetta, a uscire da un convento se la vocazione si è spenta o non è mai esistita, o ad entrarci se quello è il luogo nel quale desideriamo approdare. Stando fermi osserviamo più attentamente la famiglia da cui proveniamo per chiarirci se siamo proprio noi a disegnare il nostro destino, o se lo stanno tracciando sogni e ombre altrui. Per riuscirci, può essere utile allenare lo sguardo in modo tale che chiunque osi non rispettarci indietreggi di fronte alla fermezza che leggerà nei nostri occhi.
Ci saranno comunque momenti in cui sarà faticoso continuare a esistere, e per questo è fondamentale avere pensiero e memoria su ciò che  sta accadendo. Qualunque cosa stia accadendo. Naturalmente, ci capiterà talvolta di avere il cuore appeso a un filo, o pensieri stagnanti per le nostre esitazioni, ma ciò che alla fine davvero conta è il coraggio di non rimanere sconosciuti a se stessi; è coltivare, non la pazienza di chi subisce, ma la mansuetudine di chi attende il tempo giusto. Poiché abbiamo non solo il diritto, ma il dovere di scegliere le nostre relazioni, i nostri spazi, i nostri silenzi e le nostre distanze, il nostro lavoro e le nostre passioni, spolverando ogni giorno attentamente quel luogo sacro nel quale abitano parole come scelta e libertà.

2 commenti:

  1. "...il coraggio di non rimanere sconosciuti a se stessi".
    Verso lacrime dolci, su queste parole...

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    1. Un coraggio e un lavoro continuo ci vogliono... ma ne vale sempre la pena.

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