sabato 10 novembre 2012

Introduzione del libro (seconda parte)

A volte, proprio non è possibile. In carcere per esempio, dove la reclusione non è solo psicologica ma fisica, e il tempo e lo spazio subiscono radicali alterazioni; dove i vincoli sociali e le abitudini quotidiane vengono soppressi. Può inoltre succedere che la separazione dal resto del mondo continui anche dopo aver scontato il periodo di detenzione, non più su un piano fisico ma emotivo. Le difficoltà dovute al reinserimento sono inevitabili, e richiedono percorsi non certo agevoli.
Un altro recinto che può assumere connotazioni dolorose è quello della solitudine. Naturalmente non mi riferisco alla solitudine cercata: quel luogo dolce nel quale si sta piacevolmente in compagnia di se stessi, mettendo distanze dal ritmo incalzante del quotidiano; quel luogo nel quale si crea, si pensa, si diventa fecondi, ci si ricarica per una successiva apertura al mondo esterno. Mi riferisco alla solitudine subìta, che ha le caratteristiche della mancanza, dell'esclusione, che coincide con il vissuto sterile della depressione, ed è connotata da un senso di morte, di impotenza e di vuoto. La prima è un rifugio che favorisce la crescita interiore, la seconda è una gabbia che paralizza l'esistenza conducendo un senso di estraneità a se stessi e agli altri. Indubbiamente, come ha scritto D. H. Lawrence: “E' molto più facile forzare le sbarre di una prigione che aprire porte sconosciute sulla vita”.
Di recente una donna mi diceva che invece vorrebbe, eccome vorrebbe, uscire dalla casa in cui lavora come badante. Ma non può. Originaria della Romania, non ha altro luogo in cui vivere. Sta cercando un'altra occupazione. Per ora, una volta la settimana, a turno, i figli dell'anziana donna di cui si occupa, si recano nel cascinale distante chilometri dalla casa più prossima, portano viveri e medicinali, verificano che tutto sia a posto e se ne vanno. E questa donna rimane, giorno e notte, con una persona che da tempo ha perso le funzioni cognitive. La lava, la nutre, le parla, l'anziana però non risponde. L'assenza di un qualunque dialogo rinchiude entrambe in un vuoto, in questo caso percepito con disperazione solo da colei che cura.

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