Augusto Romano scrive in una recensione su Tuttolibri del libro di Eugenio Borgna Di armonia risuona e di follia (Feltrinelli): “E’ questo atteggiamento che genera i tanti pregiudizi che si addensano intorno alla malattia mentale (è violenta, è incomprensibile, è incurabile…) ed hanno alimentato la pratica manicomiale (emarginazione, svalutazione, isolamento). La psichiatria che colleziona soltanto i sintomi e si nega alla comprensione della vita interiore, dimentica – osserva Borgna – che la schizofrenia, come uno specchio, riflette la fragilità e la vulnerabilità della condizione umana, costantemente esposta al rischio di «perdersi nel deserto del dolore e della solitudine». Occorre riconoscere quanto i confini tra la follia clinica e la follia metaforica che è in ciascuno di noi siano labili e permeabili, e leggere nella follia l’essenziale solitudine e l’angoscia che abitano l’umano”.
Ciò che è accaduto nei manicomi, poco per volta, negli anni, è venuto alla luce. Eppure quando ho scritto il capitolo sul manicomio e ho letto, cercato, mi sono documentata, sono stata spesso sopraffatta dall’orrore per il numero inquietante di vite umane che vi hanno trascorso anni, decenni, a causa di malesseri che sarebbero stati curabili se solo si fosse dato uno sguardo, una qualche importanza alla vita interiore. L’esperienza non ha insegnato abbastanza però, poiché ancora oggi è tutt’altro che inconsueto, per troppi psichiatri, evitare quello sguardo.