Dopo
aver letto la storia di Rosaria Aprea, e di troppe come lei,
ho avuto bisogno
di rileggere il capitolo sulla violenza. E condividerne una parte qui.
Elisa
Chechile ha perseguito con determinazione il suo progetto
e
dal novembre 2009 è attivo ad Asti, in collaborazione
con
la Croce Rossa Italiana e con la Provincia, il centro antiviolenza
l’Orecchio di Venere.
Le
domando se ricorda i primi casi di cui si sono occupati.
Impossibile
dimenticare, risponde. La prima fu una ragazza
giovane,
perseguitata dall’uomo che aveva lasciato. Lui non
accettava
la fine della relazione e l’aveva inondata di mail, di
messaggi
con minacce di morte, riferite a lei e ai suoi familiari
ri.
C’era un’ampia documentazione scritta e una mole di prove
inoppugnabili.
La ragazza, di fronte alla mia domanda sul
perché
non volesse fare denuncia, rispose: «Perché lui è un
avvocato
importante e non voglio fargli del male».
Negli
stessi giorni giunse una donna abusata da marito e suocero.
Era
stata inviata dalla Questura nella speranza che potessimo
aiutarla.
Le dissi che quando avrebbe temuto per sé e
il
suo bambino avrebbe dovuto trovare anche la forza di
scappare.
«Dove?»,
mi chiese lei.
«Qui»,
le risposi.
Qualche
settimana dopo arrivò. Ora vivono in una casa protetta.
I
volontari del centro possono accogliere, informare,
offrire
consulenza, spazio, luoghi sicuri. Esiste anche una
via
di fuga nascosta perché non è affatto da escludere che
serva
alle donne che proteggono e agli operatori. Infatti, è
stata
utile in più di una occasione. Ma nulla possono se il
loro
lavoro è rivolto a qualcuno che, nonostante i supporti
esterni,
non riesce a dire basta. Una
parola breve, potente,
un
no difficile
da pronunciare.
Lo
descrive bene in un articolo la giornalista Assunta
Sarlo
su D di Repubblica.
L’ultima
che ha bussato al centro antiviolenza di Trieste ha portato
con
sé una storia lontana dagli orrori delle cronache di donne
ammazzate
in tribunale o buttate nei sacchi della spazzatura:
è
«semplicemente» la storia di uno che ti picchia e poi dice che ti
ama
e che non lo farà mai più. In questa vicenda, è stato un carabiniere
a
fare la differenza. È arrivato in quella casa per la seconda
volta
e le ha detto: «Guarda che ti ho vista per mano con
lui
dopo che t’aveva menata. La prossima volta non vengo mica».
Lei
si è svegliata.
La
violenza imprigiona il corpo e arrugginisce i pensieri
come
un filo spinato abbandonato all’incuria del tempo.
E
la colpa, la vergogna e il silenzio annodano ulteriormente
quel
filo. Elisa un giorno chiese a una donna in quale
modo
suo marito la picchiasse. La donna rispose: «Oh!, mi
picchia come si
picchia un essere umano».
oltre all'orribile violenza fisica che un uomo può imprimere alla sua donna,esiste viscida e silenziosa la violenza morale quella che quotidianamente si insinua tra le pagine sgualcite di una quotidianità anestetizzata.Quella che si riflette nello specchio ad ogni tuo risveglio e che ti rinfaccia una maternità non sempre"abbastanza" soddisfacente.Quella che ti arriva come uno schiaffo improvviso in pieno viso ad ogni attacco di panico innescato da un ALTRO che si spaccia per il tuo marito amorevole e che poi ti lascia la scia sbavata di un dubbio soffocante:sarò una brava madre? oppure è come dice lui...non valgo niente!!Vorrei dire a tutti questi uomini infelici e a tutte le loro donne che nessuno può essere giudice di un altro essere e mettersi più in alto di chi si ha al proprio fianco...anche questa può diventare un inutile sofferenza!non permettiamo a nessuno di dirci chi siamo!!
RispondiEliminaNi prossimi giorni, maria grazia, posterò la storia di Giuliana, a proposito di violenza psicologica. E' lunga e lo farò in due o tre volte. Ma se torni qui la troverai. In ogni caso la segnalo sempre su facebook. A presto.
EliminaChe bello leggerti...
RispondiElimina:)
Ciao Gioia!
EliminaCondiviso a destra a e manca. Quante storie dolorose tutti i giorni...
RispondiEliminaGrazie Adriana. Il livello di violenza è sempre più allucinante e tragico. E frequente. E queste donne che perdonano, se non curano le loro catene interiori, non contribuiscono certo a dare dei limiti.
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