Era un caldo pomeriggio d’agosto e
anche il gatto cercava riparo dall’afa acciambellandosi sul tavolo in pietra
sotto il pergolato. Lontano, dietro le colline, un lampo tagliava di traverso
le nuvole. Da un po’ di tempo Oreste teneva d’occhio sua figlia Lucia: alcuni
sguardi furtivi e rossori inconsueti lo avevano messo in allarme. Non avrebbe
mai osato pensare a ciò che si presentò ai suoi occhi quel giorno in cui un
temporale improvviso lo svegliò dal riposo pomeridiano. Sua figlia Lucia e
Giuseppe, il ragazzo assunto da poco per i lavori pesanti, erano nel fienile,
su una vecchia trapunta, abbracciati, nudi. Imbracciò un forcone - nemmeno
un’ombra di sonno era rimasta a rallentargli i pensieri – e li spinse al centro
del cortile, urlando e imprecando.
Successe molto in fretta, non permise
loro di indossare altro che il loro spavento, poi chiamò i familiari ad
assistere a quel processo sommario. A causa del subbuglio, accorsero anche gli
abitanti delle cascine limitrofe. “Meglio così”, pensò Oreste, tanto
l’avrebbero comunque saputo: in quel modo il suo onore era salvo. In un niente
si radunò un gruppo di persone coi visi cotti dal sole, le mani ruvide di
lavori pesanti, il respiro contratto: nell’aria si distendeva qualcosa di
grave. Teresa, la mamma di Lucia, non si frappose tra il padre e la figlia:
nella memoria dei giorni aveva smarrito, se mai c’era stato, qualcosa che
avesse le sembianze di una ribellione. Muta, osservava. Oreste pronunciò
davanti a tutti la sua condanna.
Da quel momento di Giuseppe si
persero le tracce: la minaccia di morte nel caso si fosse avvicinato al paese
era più che realistica. Poche settimane dopo Lucia si sposò con un uomo di
vent’anni più vecchio che la prima notte di nozze scoprì che la sposa non era
vergine. Il mattino seguente il marito riaccompagnò Lucia dal padre, blaterando
qualcosa in merito a merce avariata che non avrebbe tenuto. Oreste ricordò a
suo genero che lui non aveva figlie, non poteva riprendere in casa qualcuno che
non era mai esistito, che tornassero dunque da dove erano partiti.
Lucia ebbe due figli e una vita
piena di botte per quell’imene mancante; il suo nome diventò puttana e tale
rimase fino a quando morì. I suoi figli assistettero in silenzio alla violenza
del padre e nella sua famiglia d’origine la cancellarono da ogni fotografia. In
ognuna c’è un gruppo di persone che fissa l’obiettivo della macchina
fotografica, con i visi seri degli eventi importanti. In ognuna si intravede
una macchia, un’ombra. Se non si conoscesse la storia parrebbe il capriccio di
una pellicola avariata dal tempo.
La storia di Lucia mi è stata
narrata da una sua pronipote. Le era venuto il desiderio di conoscere meglio i
vecchi della sua famiglia e rammentava qualche fugace commento ascoltato da
bambina. Cercando informazioni dagli ultimi familiari ancora in vita che
potevano ricordarsi di Lucia, scoprì che a distanza di decenni, reagivano con
timore anche solo a sentirne pronunciare il nome.
Un centinaio di anni non è
sufficiente per archiviare il passato. Tracce e frammenti rimangono e si
tramandano, e se oggi sarebbe perlomeno inconsueta una violenza così
caratterizzata, le donne muoiono ancora a causa del concetto di possesso. E’
sufficiente leggere gli ultimi dati che riguardano gli omicidi che hanno come
filo conduttore “o mia o di nessun altro” per inorridire.
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