«Tranne
tirarmi qualche oggetto, mio marito non ha mai usato violenza fisica su di me;
non so se sia stato questo a rendermi più complicato l’addio. Il fatto che non
portassi addosso segni visibili, mi ha confuso a lungo sull’entità del danno
che subivo. E ha indubbiamente inciso sul tempo impiegato a separarmi». Sono le prime parole pronunciate da Giuliana.
L’incontro avviene nella sua casa, e scegliamo la cucina come luogo del dialogo: ci sembra propizia per parole difficili. Le stanze e la
padrona di casa si somigliano: sono entrambe salde, ordinate, con la giusta
traccia di colore. Eva, il cane
meticcio, poco tempo dopo il mio arrivo, si disinteressa di noi, e si accuccia
nella sua tana.
«16 Maggio 1987:
il giorno del mio matrimonio era arrivato. Negli anni precedenti più volte
avevo lasciato l’uomo che stava per diventare mio marito, ma poco dopo
tornavamo insieme. Sembravano solo i classici litigi da fidanzati, non ho mai
dato loro troppo importanza, infatti non ci impedirono di giungere - quel
mattino - a poche ore dal rito. Furono le parole che pronunciò mia madre a
scuotermi un po’ dal torpore in cui ero rinchiusa: “Se non sei convinta non
devi sposarti, pensaci, sei ancora in tempo”.
Quando ero bambina mi piaceva camminare sulle
pietre che costeggiavano il greto del fiume. Giocavo balzando da una all’altra,
poi però - quando mi avvicinavo all’acqua - le pietre diventavano scivolose e
il mio equilibrio precario. Mia madre parlava e io pensavo che a un certo punto
ero entrata nel flusso dei preparativi del matrimonio, una corrente con una
direzione precisa, e ogniqualvolta avevo anche solo immaginato di fermarla, i
miei piedi non riuscivano a fare presa. Come su quelle pietre.
Ripensai più volte a quel mattino, negli anni
successivi. Il bivio della mia vita. Come sarebbe andata se avessi avuto la
forza per dire no? E, soprattutto, dove se ne stava nascosta la mia ben nota
capacità di ribellarmi quando ero alle prese con qualcosa che non mi convinceva
completamente?».
Giuliana, a distanza di tanti anni, è ancora incredula sulla passività che in quel periodo della sua vita
aveva preso il sopravvento. Sottolinea che le sarebbe più semplice comprendere
se quell’accettazione indolente fosse stata una sua caratteristica da sempre. La memoria la riporta invece a situazioni nelle
quali - seppur molto giovane - era in grado di svincolarsi celermente da
eventuali costrizioni. Poi - come se d’improvviso avesse smarrito la capacità
di valutare ciò che desiderava - era
entrata in quella situazione, ben nota a noi donne, di non fidarci di ciò che
sentiamo. Quante volte non siamo in grado di spiegare razionalmente una scelta,
ma di fatto ci ha guidato una sensazione, un odore, un’emozione, un’intuizione?
Bussole la cui precisione talvolta ci sconcerta, eppure non sempre diamo loro
l’importanza che dovremmo. Ci sono periodi della vita nei quali il rischio che
corriamo è più elevato. In genere succede quando intorno a noi comincia a risuonare
l’eco del “E’ tempo”. E’ tempo di sposarsi, di concepire un figlio, di essere
madre a tempo pieno, di lavorare fuori casa, di….
Talvolta non riusciamo a distinguere se quel tempo è legato a una
“richiesta sociale” o se è proprio quello giusto per noi. Se vogliamo davvero
quel figlio, quel matrimonio, quel lavoro, quella casa.
(continua)
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